Breve storia della musica cristiana Stampa

 

 

Breve storia della musica Cristiana

 

 

1.  I Salmi

Come tutti noi sappiamo, i Salmi costituiscono uno dei libri della Bibbia dell’Antico Testamento: molti di essi erano gli inni del popolo ebreo. Scopo di questo articolo è quello di descrivere brevemente quali erano le caratteristiche tecniche mediante le quali questi inni venivano composti e come essi venivano eseguiti dai cantori del tempo.

In generale i canti citati dalla Bibbia erano accompagnati da strumenti e talvolta da danze, mediante i quali il popolo di Dio esprimeva in maniera corale i propri sentimenti di giubilo o tristezza.

La musica ebraica vide il maggiore splendore durante il periodo dei re (XI-X sec. a.C.). Davide era un abile arpista e proprio  lui si dedicò alla composizione di molti salmi. Dopo di lui Salomone organizzò professionalmente il servizio dei cantori nel tempio di Gerusalemme.

Gli strumenti più usati dai musicisti ebrei furono il kinnor (strumento a 10 corde pizzicate), l’ugab (zampogna o flauto diritto), lo sciofar (corno di capra, antenato dello strumento tuttora di uso rituale nelle sinagoghe).

All’inizio del Novecento un musicologo lettone, Abramo  Idelsohn registrò e trascrisse i canti di alcune tribù ebraiche stanziate nello Yemen e in Palestina, le quali nel corso dei secoli avevano conservato il patrimonio di canti ereditati dal passato.

Questo fu il primo contributo scientifico allo studio della musica degli ebrei che in seguito venne incrementato da quello di altri musicologi interessati a questo tema.

Le caratteristiche principali con cui venivano eseguite i salmi erano due:  la cantillazione, uno stile di recitazione intonata, regolata dal ritmo scandito dalle parole stesse di cui erano composti i testi sacri, la quale si muove su poche note di altezza vicina (es: DO-RE-MI-RE etc..); e il jubilus, vocalizzo, a volte molto esteso che si estende sulle sillabe di alcune parole rituali (es: ALLELUUUUIA).

Nel culto ebraico occupava un ampio spazio l’esecuzione dei salmi, guidata da un cantore- solista il quale era posto a capo dell’assemblea dei fedeli;  questi ultimi erano coinvolti a partecipare alla lode in varie maniere (ripetizione di versetti; risposta con formule fisse o variate).

Quest’ultima caratteristica che consiste nella alternanza delle frasi tra il solista e l’assemblea troverà ampio spazio anche nella Chiesa Primitiva (cioè nella chiesa che si sviluppa nei secoli successiva alla venuta di Gesù) e prenderà il nome di salmodia responsoriale .

E’ semplice osservare come ciò sia intrinseco nella natura stessa dei salmi; ad esempio basta osservare i primi versi del salmo 36:

 verso 1: la parte che veniva cantata dal solista era: L’iniquità parla all’empio nell’intimo del suo cuore; mentre quella cantata dal resto dell’assemblea era: non c’è timor di Dio davanti agli occhi suoi.

  Ma ciò è ancor più evidente nel verso 2 dello stesso salmo dove troviamo la prima parte: “Essa lo illude che la sua empietà non sarà scoperta” e la seconda: “né presa in odio” separate anche dal punto di vista grafico sebbene facciano parte dello stesso periodo sintattico.

Ciò avviene poiché generalmente i salmi sono suddivisibili in due emistìchi cioè in due semiversi, e la funzione di questo fatto era proprio quella di poter cantare i versi in alternanza tra più parti cantanti.

Come ho detto prima questa caratteristica esecutiva propria della natura degli stessi testi che costituiscono i salmi venne mantenuta per diversi secoli nella chiesa e proprio per questo si ritiene che dal punto di vista musicale, il canto cristiano abbia matrice ebraica.

Infatti uno degli stili più importanti della musica cristiana del ‘500, cioè del I° millennio d.C., il cosiddetto Canto Gregoriano vede proprio nella lettura e intonazione dei Salmi una delle parti centrale del culto al Signore.

Al giorno d’oggi i nostri canti sono molto diversi dai salmi, in quanto quelli che noi usualmente cantiamo nelle nostre comunità provengono da periodi storici e tradizioni molto più vicine a noi, anche se penso che  sia in ogni caso una cosa buona riconoscere il grande patrimonio spirituale ed artistico che i Salmi  costituiscono ed hanno costituito da sempre nel popolo di Dio.

Voglio concludere dicendo che è importante non sottovalutare il canto durante le riunioni dedicate al Signore poiché esso è uno strumento molto importante per dare lode a Dio e per l’edificazione del credente.

 

 

 

2.  Lutero e la riforma

 

Durante i primi mille dopo la nascita di Cristo vi furono nella storia dell’Occidente degli eventi molto importanti che condizionarono la nostra civiltà; mi riferisco all’espansione ed alla successiva decadenza dell’impero romano, l’invasione delle popolazioni germaniche, il primato dell’impero carolingio etc…

Paradossalmente, in questo periodo, la storia della musica fu invece povera di vicende e di accadimenti. La musica cristiana primitiva si ispirava agli elementi caratteristici del culto giudaico: la cantillazione, il jubilus, l’esecuzione dei salmi. Nella sua irradiazione tra i popoli del Mediterraneo, il culto cristiano venne a contatto con le usanze musicali delle diverse etnie, ed in parte ne fu influenzato e le assorbì. Si spiega in questa maniera la formazione di quell’insieme di repertori locali, differenti da regione a regione, che vennero poi unificati e menzionati con il termine canto gregoriano dal nome del papa Gregorio I Magno).  Il repertorio gregoriano era molto complesso ed articolato. Tra l’altro, considerato il fatto che esso veniva tramandato oralmente, occorreva  un gruppo di cantori capaci di memorizzarne le melodie e di eseguirle. Proprio per questa necessità nacque la  Schola cantorum, nella quale i cantori apprendevano i brani. Il compito di questi cantori però continuava ad essere molto oneroso. Le testimonianze storiche affermano che ci voleva all’incirca una decina di anni di studio per memorizzare con precisione tutto il vasto repertorio. Proprio queste difficoltà di ordine pratico indussero un monaco benedettino Guido d’Arezzo ( 995 ca. – 1050 ) a teorizzare un sistema di notazione universale  che permettesse ai cantori di memorizzare le melodie con maggiore semplicità. L’esacordo guidoniano  (questo è il nome del sistema notazionale ideato dal monaco che si basava su una tecnica detta solmisazione) sostituì tutti i tentativi di notazione che erano stati elaborati in precedenza (notazione neumatica, notazione adiastematica, notazione diastematica ) e rappresentò  la premessa per il pentagramma che è ancora oggi utilizzato universalmente per la composizione musicale. La tecnica elaborata da Guido consisteva nel fare memorizzare ai cantori gli intervalli (cioè le distanze tra i suoni in termini di toni e semitoni) che essi dovevano intonare, attraverso i testi degli stessi brani; occorre ricordare che i nomi attuali delle note  derivano dalle sillabe e quindi dalle note iniziali dei sei emistichi (semiversi ) che compongono l’Inno di San Giovanni, un canto molto conosciuto all’epoca.

 Nel 1517, Martin Lutero (1483-1546) diede inzio alla cosiddetta Riforma Protestante, affiggendo alla porta della chiesa di Wittenberg in Germania 95 “tesi” di contenuto teologico che egli proponeva alla libera discussione; il suo esempio venne presto seguito in altre nazioni, in Svizzera da G. Calvino e in Inghilterra da Enrico VIII Tudor.. Nella Chiesa luterana alla musica fu riservato un ruolo di maggiore importanza, rispetto a quello che le venne riconosciuto dalle altre confessioni riformate. Sicuramente ciò si deve al forte temperamento artistico di Martin Lutero, il quale era un esperto conoscitore della musica sacra del suo tempo, grande estimatore di musicisti come Josquin, cantore, suonatore di liuto (che in quel periodo era sicuramente uno degli strumenti più diffusi) e di flauto ed anche compositore. Ma in questa sua visione sicuramente furono  rilevanti, la sua concezione cosmica della musica, che egli affiancava alla teologia, e l’importanza che egli attribuiva al canto corale come mezzo necessario per una partecipazione comunitaria al culto. La messa luterana, che fu ordinata dallo stesso Lutero (Deutsche Messe = messa tedesca, 1526), si basava sui testi delle Sacre Scritture, che lui stesso tradusse nella lingua volgare tedesca, perché fossero comprese da tutti. Occorre infatti ricordare che fino ad allora la messa veniva celebrata in latino, cosa che impediva alle persone di basso ceto sociale di capirne i contenuti ed i significati (la Chiesa Cattolica utilizzò fino a qualche decennio fa come lingua ufficiale per la liturgia il latino);  mentre elemento comune a tutte le confessioni riformate fu proprio quello di sostituire il latino con le lingue nazionali parlate dal popolo (tedesco, francese, inglese). La partecipazione attiva dei fedeli al culto veniva affidata al canto dei corali (Choräle; Kirchenlieder = canti di chiesa, Geistliche Gesänge = canti spirituali), che costituivano canti assembleari di facile semplicità melodica, di struttura strofica e procedimento sillabico. Il corale assunse nella storia della musica un ruolo fondamentale, in quanto esso venne utilizzato come modello base nella creazione delle musiche corali e di quelle organistiche tedesche dell’epoca barocca di cui sicuramente fu il più autorevole esponente Johann Sebastian Bach. Bisogna però porre attenzione al termine corale. Sebbene esso possa trarre in inganno, il corale luterano nasce come composizione monodica cioè esiste  un’unica linea melodica che viene eseguita all’unisono da tutta l’assemblea, quindi il termine corale sta ad indicare soltanto il fatto che il brano viene eseguito da tutto il coro composto dai fedeli, ma non vi è alcun nesso con una esecuzione polifonica (per capirci, con più voci che eseguono melodie diverse) propria dei cori a cui siamo abituati.  Alcuni dei corali composti dallo stesso Lutero sono arrivati sino ai giorni nostri, e tra essi è da menzionare sicuramente il più famoso, che a mio parere è uno tra i più ispirati inni della tradizione evangelica. Mi riferisco a Eine feste Burg  (letteralmente “Una salda fortezza”), che corrisponde all’inno intitolato “Forte Rocca” nel nostro innario. Tutti noi abbiamo cantato decine se non centinaia di volte quest’inno ed è facile notare il carattere solenne di questa composizione, nella quale ogni sillaba viene declamata con chiarezza e con forza; sebbene la linea melodica risulti molto semplice e priva di abbellimenti ed ornamenti     (parlo ad esempio  di arpeggi e vocalizzi), essa affascina chi la ascolta e permette a chi la esegue di sentirsi partecipe di un insieme di voci che dà gloria a Dio.

In conclusione, prendendo spunto da quanto detto prima, voglio esortare i lettori a sentirsi partecipi durante l’esecuzione degli inni in chiesa; non viviamo lo spazio dedicato alla lode e alla adorazione come uno spazio riservato ai pochi credenti che suonano o che innalzano la propria preghiera, ma partecipiamo nella lode cantando e facendo nostre le parole degli inni.       

   

 

3.  Johann Sebastian Bach: l’umile maestro.

 

I Bach furono la famiglia di musicisti più numerosa e celebre di tutta la storia della musica. Dal capostipite, vissuto nel sec. XVI all’ultimo, morto nel 1845, si contano un centinaio di Bach organisti, compositori e maestri di cappella.  Ma come è noto, senza ombra di dubbio, il più conosciuto di tutti i tempi fu Johann Sebastian.

J.S.Bach non ebbe una esistenza facile; ultimo di 8 figli, all’età di 10 anni rimase orfano e venne accolto in casa dal fratello maggiore. Crescendo, divenne ben presto un eccellente organista, svolgendo tale compito in diverse comunità luterane dell’attuale Germania centrale. Nel corso della sua vita ebbe molti altri incarichi: maestro di cappella, insegnante di musica e latino, compositore, collaudatore di organi etc…   

Nel 1720 perse la moglie Maria Barbara la quale gli aveva dato alla luce 7 figli. Per dare una madre ai suoi figli sposò Anna Magdalena Wilke che gli diede altri 13 figli..

Ma non è la vita ciò che più mi interessa trasmettervi di quest’uomo, bensì il suo rapporto con la musica ed in particolar modo il suo rapporto con la musica cristiana evangelica. Come ho già detto, Bach era di fede luterana, e proprio questo fatto influenzò la concezione della musica che ebbe. Egli riteneva che la musica fosse un dono di Dio ed uno strumento specifico della lode a Dio, e non solo la musica scritta appositamente per il culto, ma anche la musica non destinata alle funzioni liturgiche. “Tutta la musica non dovrebbe avere altro scopo che la gloria di Dio ed il restauro spirituale dell’anima; – diceva egli stesso – se non si raggiunge questo obiettivo non può esistere musica; non è allora più che uno stridio ed un chiasso infernale”.

Il repertorio costituente la musica sacra di Bach (con musica sacra si intende la produzione musicale finalizzata all’esecuzione durante le funzioni religiose, per intenderci, l’equivalente dei nostri cantici) è molto vasto e variegato, a causa proprio della sua visione della musica. Tra le composizioni vocali sacre, sicuramente il primo posto spetta alle cantate sacre o da chiesa (KirchenKantaten). Ne scrisse circa 300, ma ce ne sono rimaste circa 200; la maggior parte di queste era destinata all’esecuzione durante i culti domenicali. Le cantate rappresentano una pietra miliare dell’edificio della storia della musica cristiana, in quanto in loro ritroviamo alcune delle caratteristiche che caratterizzeranno le forme successive di espressione della lode a Dio attraverso il canto. Alcune di esse sono definite cantate su corali (Choral Kantate), nei cui testi prevalgono le citazioni bibliche ed i corali (cfr. ultimo numero di “Voce Giovane”). Proprio in queste composizioni  possiamo osservare la grande capacità di Bach nell’intrecciare le melodie emesse dagli strumenti e dalle voci costituenti il coro. Raggiunge quindi i massimi livelli in queste composizioni la “polifonia”, cioè l’arte del comporre tenendo in considerazione oltre allo sviluppo “orizzontale” del brano (cioè l’andamento autonomo delle melodie delle singole voci), anche lo sviluppo cosiddetto”verticale” (cioè il modo in cui le melodie emesse dalle singole voci, entrano in rapporto tra loro sovrapponendosi, alterandosi ed in mille altri modi).

Questa importante caratteristica ha caratterizzato da allora in poi l’innologia cristiana di tutti i secoli, ed ancora oggi, rappresenta a mio parere la più bella espressione vocale, in quanto, allo stesso tempo garantisce l’unità del gruppo nell’espressione di un testo cantato  da ogni membro, ma che allo stesso tempo permette l’esecuzione contemporanea di più linee melodiche, quasi a rappresentare il fatto che per l’avanzamento del Regno di Dio, sono necessarie diverse membra che collaborano tra loro, le cui diversità  permettono di metterne in evidenza i doni e le predisposizioni che ognuna di esse ha ricevuto da Dio.

Una cantata bachiana, in genere, comprende un brano iniziale, quasi sempre un maestoso coro polifonico, e di norma, il testo di esso veniva tratto dalle Sacre  Scritture; dopo di esso si potevano trovare arie, duetti e terzetti che venivano alternati a brani in stile recitativo (in cui cioè le parole del testo venivano declamate con un esiguo o spesso addirittura mancante  accompagnamento musicale). La conclusione della cantata (detta in termini tecnici chiusa) veniva affidata al canto di un corale a 4 voci, questa volta omofono (cioè con un'unica linea melodica eseguita all’unisono dalle quattro voci), in contrapposizione dei corali interni alla cantata che  erano riccamente elaborati secondo lo stile polifonico. La cantata bachiana aveva lo scopo di amplificazione musicale del sermone che il predicatore proponeva all’assemblea; infatti occorre dire che spesso i testi delle cantate erano attinenti al testo biblico che veniva predicato. Su questo punto, voglio aprire una breve parentesi; è importante che tutto quello che si fa durante un culto, sia guidato da parte di Dio e non sia dettato dai sentimenti e dalle emozioni umane. E’ giusto quindi che si chieda a Dio in preghiera di guidare ogni cosa, dalla predica, alle testimonianze ed ai cantici, in modo che vi sia un unico filo conduttore su cui i fedeli possano riflettere ed essere edificati.  

            Un’altra forma che Bach portò ad alti livelli, per quanto riguarda la musica sacra, fu quella della passione. Come si capisce dallo stesso nome, questi componimenti descrivono il sacrificio di Gesù. Bach sembra avere composto 5 passioni, anche se a noi ne sono pervenute soltanto 2. Esse risultano essere delle composizioni di grande drammaticità, in cui l’autore manifesta e mette in evidenza la sofferenza del Salvatore e sembra quasi partecipare al dramma sfruttando appieno la grandiosità del coro polifonico. In queste composizioni prevale il cosiddetto recitativo secco, cioè le parti salienti vengono recitate senza accompagnamento di strumenti in maniera da permettere ai fedeli che assistono di percepire appieno il significato del testo declamato, considerando il fatto che si tratta della più importante realtà biblica ( il sacrificio di Gesù per salvare l’umanità!).

         Adesso  voglio parlare un po’ anche delle composizioni profane di Bach (cioè riservate a scopi non legati alla fede). Bach costituisce una figura fondamentale nell’ambito della storia della musica, in quanto egli  si occupò di dimostrare scientificamente la reale possibilità di comporre in 24 diverse tonalità una volta che la tastiera venga accordata col sistema temperato, basato sulla divisione dell’ottava in 12 semitoni uguali. Bach arrivò a questo risultato con l’elaborazione del Wohltemperierte Clavier (1722) in italiano Il Clavicembalo ben temperato. Tanto   per  apprezzare l’importanza di questa scoperta, basti sapere che da decine e decine di anni tutti i musicisti di strumenti a tastiera sono obbligati a studiare quest’opera di Bach per diversi anni, in quanto viene ritenuta basilare per lo studio professionistico di questi strumenti. Anch’io ho studiato e sto ancora studiando quest’opera.

         Dovrei  scrivere ancora  molte pagine per potere descrivere tutte le forme musicali che Bach compose, ma non è questo lo scopo di quest’articolo. Bach visse in condizioni umili rispetto ad altri musicisti a lui contemporanei, come ad esempio Handel,  che visse in condizioni di grande fasto e che ebbe grandi onori; nonostante ciò è da ritenersi forse il più grande musicista della storia della musica per le innovazioni che ha portato (non posso fare a meno di citare la grande abilità di questo musicista di comporre fughe, una forma musicale che Bach portò a livelli eccelsi per complessità di intrecci polifonici e per genialità creativa dei temi). Non posso fare a meno di riflettere su come quest’uomo abbia messo al primo posto nella sua vita il culto a Dio e, sebbene abbia rifiutato di vivere nel lusso e nei fasti, le sue opere da circa trecento anni vengono utilizzate come modello e come esempio dai giovani musicisti che si  impegnano nello studio della musica classica. Francamente io penso che il successo di Bach nei secoli successivi non sia stata una casualità dovuta soltanto alle capacità umane di quest’uomo; bensì ritengo che Iddio abbia dato a quest’uomo una saggezza ed un’intelligenza particolare per premiarlo della fedeltà e dell’impegno da lui profuso per l’avanzamento del Regno di Dio. Voglio concludere con un versetto a noi molto noto che a mio parere dovremmo cercare di tenere sempre a mente: “Cercate piuttosto il Suo regno (di Dio) e queste cose vi saranno date in più” (Luca 12:31). Vogliamo imparare dall’esempio di quest’uomo, e abbassiamo noi stessi affinché sia innalzato il nome del Signore, con la speranza un giorno di ereditare l’eternità.

 

 

     

 

4.  I fratelli Wesley: la musica al servizio della Parola di Dio

 

Prosegue il nostro viaggio nella storia della musica cristiana. Abbiamo parlato, negli articoli precedenti,  di personaggi molto conosciuti, quali Lutero e Bach; i musicisti di cui parleremo in quest’articolo invece non sono molto conosciuti, anche se il loro contributo alla musica evangelica è stato di grande rilievo.

I fratelli  John e Charles Wesley vissero in Inghilterra nel corso del 1700. Essi vengono ritenuti dagli studiosi i fondatori della nuova innologia evangelica. Questa affermazione è suffragata dal fatto che i loro cantici sono presenti in tutti gli innari evangelici di un certo rilievo.

Dopo avere realizzato l’esperienza della conversione e la certezza della salvezza, i fratelli Wesley sentirono la necessità di testimoniarne anche ai loro connazionali ed iniziarono un paziente e zelante lavoro di evangelizzazione quando l’Inghilterra si trovava in una situazione di forte declino morale e religioso. John fu un grande predicatore, oltre a essere un compositore di inni, ed affrontò nel suo ministerio tante difficoltà; basti pensare al fatto che percorreva a cavallo circa 8.000 Km all’anno, in un periodo in cui la quasi totalità delle strade aveva la conformazione delle nostre attuali strade sterrate (proprio per questo motivo egli fu soprannominato “il cavaliere di Dio”). Durante alcune sue prediche subì anche qualche sassaiola e incontrò l’opposizione degli ambienti tradizionalisti della Chiesa Anglicana. Ma sappiamo che Dio onora coloro che l’onorano, e così il Signore ricompensò le fatiche di John e Charles per mezzo di un grande risveglio che coinvolse le chiese evangeliche di tutte le denominazioni. Gli effetti di questo glorioso risveglio non furono limitati soltanto all’ambiente ecclesiastico inglese, ma influenzarono tutti i livelli sociali, tanto che il tono morale della nazione cambiò in materia significativa.

Qualcuno ha detto che, senza il Risveglio, l’Inghilterra sarebbe andata incontro alla stessa sorte della Francia con la Rivoluzione Francese. Mentre in Francia vi era la rivoluzione, in Inghilterra vi era il Risveglio, ed i cantici dei fratelli Wesley sicuramente ebbero un ruolo fondamentale in questo contesto.

Il primo a convertirsi dei due fratelli fu Charles: il 21 marzo 1738 segna la data della sua conversione. Quel giorno egli aprì la Bibbia e lesse nel Salmo 40:3: “Egli ha messo nella mia bocca un nuovo cantico a lode del nostro Dio. Molti vedranno questo e temeranno e confideranno nel Signore”. E Charles ricevette davvero un nuovo cantico e il giorno seguente scrisse il suo primo inno:

 

A lungo il mio spirito è rimasto imprigionato,

legato dal peccato e dalle tenebre;

il Tuo occhio ha diffuso la luce del risveglio:

mi destai, la prigione si illuminò,

le mie catene caddero, il mio cuore diventò libero,

mi alzai, uscii e Ti seguii.

 

Questo fu il primo dei 6.500 inni che Charles scrisse, una media di tre inni a settimana!

Come Lutero, anche lui credeva che gli inni fossero un valido mezzo per insegnare le verità dottrinali della Sacra Scrittura.   Infatti, a quei tempi, il tasso di analfabetismo era molto elevato e le persone appartenenti ai ceti sociali meno abbienti, non avevano alcun modo di leggere le Sacre Scritture. Per ovviare a questo grave problema i fratelli Wesley iniziarono a comporre degli inni mediante i quali si potesse spiegare la dottrina. In questo modo, associando il testo a delle melodie semplici che ben presto divennero popolari, si riusciva a fare arrivare alle persone il messaggio dell’Evangelo. Questo aspetto del ministerio dei fratelli Wesley è molto importante, in quanto, rappresenta il primo vero esempio dell’uso dei cantici all’interno delle evangelizzazioni. Se ben ci pensiamo, ancora oggi noi, quando usciamo dalle nostre chiese per evangelizzare, utilizziamo diversi inni con lo scopo di trasmettere anche attraverso la musica il messaggio di salvezza di Gesù Cristo. Quando andiamo per le strade ad evangelizzare e dobbiamo scegliere dei cantici da eseguire, penso che dovremmo scegliere degli inni con un testo semplice da ricordare e che sia incentrato sui fondamenti della nostra fede.

Nel 1780 John pubblicò una raccolta di inni, la maggior parte dei quali era stata composta dal fratello Charles, e nella prefazione dell’opera scrisse: “In quale altra pubblicazione del nostro tempo potete trovare una così completa e particolareggiata esposizione delle verità scritturali? Una tale dichiarazione del valore e della profondità della fede? Così chiare direttive per rendere sicura la nostra chiamata ed elezione?”

Charles Wesley fu, secondo molti studiosi, il più grande autore inglese di inni mai vissuto nella storia. Come si è detto, egli nei suoi inni racchiuse i principi basilari del messaggio evangelico: la centralità di Gesù Cristo nella vita del credente, il Suo sacrifico sulla croce, l’esperienza della conversione e della nuova nascita, la certezza della salvezza e della vita eterna, il bisogno di vivere una vita santa, il compito fondamentale di ogni credente di condividere il messaggio della buona novella.

Per farvi cogliere la semplicità del messaggio presentato in questi inni ho riportato in seguito la traduzione del testo di un inno di Charles che riguarda la figura di Gesù Cristo:

 

Gesù! Il nome che fa sparire le nostre paure,

che comanda ai nostri dolori di cessare;

è musica per l’orecchio del peccatore,

è vita e salute e pace.

 

Gesù! Il nome alto al di sopra di tutto,

nell’inferno sulla terra o nel cielo;

angeli e uomini si prostrano davanti a esso,

e i demoni ne sono impauriti e fuggono.

 

Gesù! Il nome caro ai peccatori,

 il nome dato ai peccatori;

disperde tutte le loro paure nate dai sensi di colpa,

trasforma il loro inferno in paradiso.  

 

Possiamo osservare come il testo sia chiaro e semplice, come non vi siano ripetizioni nei vari versi (cosa che spesso purtroppo nei cantici di recente composizione accade), e come vengano descritte tante realtà della figura di Gesù con poche parole.

Penso che ognuno di noi dovrebbe prendere esempio da questi uomini, per il modo in cui hanno svolto un compito importante sebbene si trovassero in tempi difficili, per come hanno messo la loro vita a completa disposizione di Dio nel campo in cui essi si trovavano, per come hanno capito che, dopo avere accettato il sacrificio di Gesù e ricevuto la salvezza per grazia, la prima cosa che occorre fare è testimoniarne agli altri, perché  ogni anima strappata al peccato rappresenta una vittoria del messaggio dell’Evangelo.

Il messaggio di Gesù Cristo è ancora valido, oggi come ai tempi dei fratelli Wesley, e se ancora non lo hai fatto, ti invito ad accettare Gesù nel tuo cuore, con semplicità, senza troppe parole, ma con la fiducia nel cuore che Dio ti ama.

 

 

 

 

5.  Dal Gospel alla musica contemporanea

 

Continua il nostro viaggio nella storia della musica cristiana. Questa è la penultima puntata, e in essa parleremo della musica cristiana che ha caratterizzato l’Ottocento ed il Novecento; nell’ultima puntata invece parleremo di quella che è la situazione attuale della musica cristiana e quali sono le aspettative per il futuro che essa ci presenta.

Il genere musicale di cui parleremo in prevalenza in quest’articolo è il Gospel. Questo genere ha caratterizzato in maniera considerevole il repertorio “moderno” della musica cristiana e personalmente lo ritengo eccezionale per la bellezza dei contenuti e delle espressioni, tanto che rientra sicuramente tra i miei generi preferiti e ad esso cerco di ispirarmi quando suono.

Ma procediamo con ordine. Nel corso dei secoli XVII e XVIII, quando iniziò la tratta degli schiavi dal continente africano, oltre l’Oceano Atlantico, verso le piantagioni di cotone ubicate nel sud degli Stati Uniti d’America, i deportati “Neri” accompagnavano il loro duro lavoro, per alleviare la fatica, con la  musica; nacquero in questo modo le cosiddette plantation songs, che in seguito divennero work songs e calls, brani che avevano anche lo scopo di permettere loro di comunicare. In seguito tramite il ministero di predicatori battisti e metodisti provenienti dall’Europa, molti schiavi si convertirono al Cristianesimo e cominciarono a cantare degli inni religiosi derivanti in realtà dagli inni tradizionali inglesi, ai quali essi aggiunsero però i ritmi ed i colori della loro terra africana. Nascono in questo modo gli spirituals. Con questo termine fino ad allora si erano indicati gli inni sacri cantati dai coloni di fede metodista; nel XIX secolo invece esso viene ad assumere il significato a noi noto: inni religiosi eseguiti da cantanti “Neri” durante il loro lavoro. Spesso questi brani venivano eseguiti dagli schiavi di nascosto, in quanto i loro padroni non tolleravano il canto cristiano. Inizialmente gli spirituals erano eseguiti in maniera molto semplice; erano delle composizioni monodiche (cioè ad una sola melodia) e si strutturavano come segue: il leader pronunciava una frase, proveniente nella maggior parte dei casi dalle Sacre Scritture (il termine gospel infatti in inglese significa Vangelo), ad alta voce,  ed il coro la ripeteva in seguito cercando di copiare le modulazioni e la stessa inflessione del leader.

In seguito queste melodie semplici vennero sempre più arricchite da cori formati da diversi elementi e al primo Gospel, eseguito rigorosamente a cappella (cioè senza l’ausilio di strumenti, anche perché sotto un sole cocente, chinati sotto il peso delle balle di cotone e con un sorvegliante armato di frusta vorrei proprio vedere chi avrebbe avuto la possibilità e la voglia di suonare uno strumento!), segue un nuovo stile più ricco eseguito a più voci, con l’accompagnamento di strumenti come trombe, tamburi etc… che si eseguiva dentro e fuori le chiese evangeliche frequentate da uomini di colore e che, a detta dei più autorevoli musicologi, ha ispirato il jazz.

Coloro che eseguivano questi canti  testimoniavano agli altri della loro grande fede in Dio; prendevano spunto dalla storia della cattività del popolo di Israele per invocare la liberazione del popolo nero dalla schiavitù, avevano una grande speranza nell’eternità poiché nel cielo non avrebbero più dovuto patire le sofferenze a cui erano sottoposti nei campi di cotone ed i loro funerali erano caratterizzati da inni gioiosi e festanti (si pensi ad un classico come Oh When the Saints, che è inserito nell’innario “Inni di Lode” con il titolo Camminando sul sentiero). I testi di questi brani trasmettono sempre gioia, coraggio, fede, amore verso Dio e, a mio parere, sono di grande attualità: sebbene nessuno di noi, grazie a Dio, sia sotto la schiavitù razziale, tutto il mondo si trova nella morsa della schiavitù del peccato e anche i credenti fino a quando non lasciamo questa terra siamo soggetti a tentazioni, malattie, dolori e lutti; vogliamo prendere esempio da questi fratelli che ci hanno preceduto e che ci hanno lasciato la testimonianza della loro fede tramite questi inni che invitano il credente a rafforzare la propria fede per credere che “quando i santi marceranno in cielo, ognuno di noi potrà trovare posto in quella  meravigliosa schiera” (dal coro di Oh When the Saints).

Il Gospel ha influenzato in maniera significativa la musica cristiana; inizialmente cominciò ad essere eseguito nelle chiese americane ed in seguito esso vide una grande diffusione anche in altre parti del mondo, tra cui l’Europa,  a causa del fenomeno dell’emigrazione che permise a molti popoli di venire a contatto con queste melodie.

Da allora ad oggi molto è cambiato relativamente ai generi introdotti all’interno della musica cristiana. Sicuramente l’America ha molto influenzato questo cambiamento: ritmi e melodie sviluppatisi in questo paese come il blues, il rock melodico, lo swing, il country,  etc… hanno fortemente condizionato la produzione di musica cristiana del secolo appena trascorso. Considerando poi il fatto che il Risveglio Pentecostale è cominciato proprio negli Stati Uniti, è facile capire come buona parte della innologia moderna risenta in maniera considerevole del contributo d’oltreoceano.

Se nel gospel i temi dominanti sono la fede in Dio, la speranza nella vita eterna, la gioia della grazia, la pazienza nel sopportare le avverse condizioni della vita terrena, in molti altri inni del XIX secolo e della prima parte del XX troviamo i temi del combattimento, del coraggio, dell’abnegazione, della resistenza: si parla del buon combattimento della fede, del resistere alle forze del male, del coraggio nel proclamare il messaggio dell’Evangelo. Non dimentichiamo che i credenti di fede evangelica delle varie denominazioni animati dallo zelo e dall’ardore del Risveglio, hanno sempre incontrato l’opposizione delle chiese istituzionalizzate e delle autorità secolarizzate dei vari Paesi. In Italia, in particolare, contro i credenti di fede pentecostale ci fu l’opposizione fascista che portò alla chiusura di molti locali di culto, all’arresto ed al confino di alcuni pastori e semplici credenti, la cui unica colpa era quella di annunziare l’Evangelo di Cristo. Anche quando il regime fascista crollò, i nostri fratelli dovettero fare i conti con l’opposizione del clero cattolico, che spesso sobillavano gli animi per ostacolare riunioni di culto ed attività di evangelizzazione.

Per questi motivi i credenti sentivano particolarmente vicini alla propria esperienza quotidiana gli inni che avevano per tema il coraggio, il resistere alle opposizioni, l’innalzare la bandiera del Vangelo, il soffrire per la causa dell’Evangelo. Sono temi che si legano in maniera univoca con ritmi di marcia, con lo scopo di ricordare a chi esegue il canto che la vita cristiana va vissuta con la stessa forza e determinazione che il soldato ha in combattimento. Il nostro innario contiene svariati brani di questo periodo basti pensare a titoli come: Coraggio eletta schiera; Alza alza la bandiera; Vincitor, vincitor; Vittoria sempre  noi s’avrà, etc…

Ogni brano del repertorio evangelico ci fornisce degli insegnamenti su come vivere la nostra vita cristiana e rispecchia ovviamente le condizioni e i sentimenti dell’epoca in cui è stato scritto; ciascun brano ci ha lasciato testi di profonda ispirazione e rara bellezza, che probabilmente oggi sarebbe difficile, se non impossibile riscrivere poichè viviamo in tempi radicalmente differenti. Una caratteristica però dobbiamo sforzarci di mantenere anche oggi: la stessa voglia e lo stesso desiderio di allora di servire il Signore ed onorarlo con la  nostra lode e con il nostro canto.

 

 

 

6.  Quali  prospettive?

 

 Con questo articolo termina il nostro viaggio nel mondo della storia della musica cristiana. Nelle puntate precedenti di questa rubrica abbiamo cercato di evidenziare le caratteristiche degli stili e delle forme musicali che hanno caratterizzato in maniera notevole il panorama musicale cristiano ed in particolare evangelico. Ciò di cui ci occuperemo invece adesso è la situazione attuale della musica cristiana e quelle che sono le prospettive per il futuro.

Il panorama della musica cristiana oggi risulta quanto mai ampio e variegato. Possiamo dire che tutti gli stili musicali moderni vengono sfruttati ampiamente per produrre buona musica cristiana; le radio cristiane presenti nella rete Internet che trasmettono da tutto il mondo in streaming (una tecnica multimediale utilizzata appunto per trasmettere audio e video in rete con una discreta qualità) propongono centinaia di brani ogni giorno che spaziano dal country al jazz, dallo swing al rock melodico, ecc. E’ anche vero che dall’altro lato della medaglia trovano spazio anche trasmissioni di musica evangelica “hard” (cioè eseguita secondo le caratteristiche della musica metallica più simile a del rumore che a della musica). Io non voglio assolutamente giudicare nessuno ma penso che Dio non apprezzi essere adorato con del rumore.

L’ultimo decennio ha visto una forte impennata nella produzione musicale cristiana; probabilmente ciò è legato al fatto che i mezzi di comunicazione di massa consentono oggigiorno una rapidissima diffusione dei nuovi brani. Ma a parte questo permettetemi di dire che il vero “successo” di nuovi inni (con successo intendo  la popolarità all’interno delle chiese a prescindere dalle denominazioni) è legato indissolubilmente all’ispirazione da parte dello Spirito Santo delle musiche e soprattutto dei testi. Qualche anno fa, precisamente nel 1994,  è stato composto quello che secondo me è uno dei più bei cantici degli ultimi venti anni sia dal punto di vista del testo che dal punto di vista dell’arrangiamento musicale: mi riferisco a “Shout to the Lord” (la cui traduzione italiana è “Gridiam di gioia”). Questo inno nel giro di pochissimi anni è diventato molto popolare in tutto il mondo evangelico, dall’America  all’Europa e penso che oggi non esista una chiesa evangelica in Italia che non conosca questo meraviglioso inno. Se ci pensiamo bene è un miracolo come un unico inno possa attraversare i continenti e toccare il cuore di milioni di credenti; questo è appunto quello che avviene quando un cantico è ispirato dallo Spirito Santo.

C’è una situazione invece che a mio parere sta diventando preoccupante nella musica cristiana del nostro tempo ed è quella che io definisco con un termine improprio la “spettacolarizzazione” della musica cristiana. Visitando i siti web dei musicisti cristiani spesso si legge di avere ottenuto grandi performances, avere partecipato a selezioni, spettacoli, avere vinto  premi, e altro ancora. Tutto ciò danneggia la figura del vero musicista cristiano che mette a disposizione il proprio talento soltanto ai fini della gloria di Dio e non per avere acclamazione dal pubblico e/o un proprio tornaconto economico. Spesso anche le case discografiche tendono a celebrare la figura degli artisti cristiani allo stesso modo degli artisti del mondo quando sappiamo bene, che per quanto capaci  si possa essere,  la gloria deve appartenere soltanto a Dio in quanto ogni cosa buona che è in noi proviene da Lui.

Vorrei adesso aprire una parentesi relativamente ai testi ed agli arrangiamenti dei cantici moderni. Come abbiamo visto nelle puntate precedenti, nel corso della storia la musica cristiana è stata influenzata dagli stili dei vari periodi storici. Anche oggi possiamo osservare come ciò sia vero, in quanto la maggior parte degli inni composti negli ultimi venti anni risente delle armonie e delle modulazioni tipiche della musica leggera dei nostri giorni. Non di rado infatti  si ascoltano cantici di recente composizione le cui melodie potrebbero tranquillamente essere scambiate per quelle di canzoni presentata all’ultimo Festival di Sanremo; sebbene ciò

sia  in qualche modo normale  in quanto abbiamo visto come la musica popolare influenzi anche quella cristiana, va detto però che tutti coloro che si prodigano per comporre musica cristiana dovrebbero stare attenti a cercare di non cadere nell’errore di utilizzare melodie banali o troppo frivole per la musica sacra, come spesso sono quelle delle canzoni moderne, perchè occorre fare in modo che la musica dei nostri cantici abbia le caratteristiche giuste per lodare il Signore.

Un’altra parentesi permettetemi di aprirla sui testi dei nuovi inni. La maggior parte degli inni di recente composizione descrive l’amore di Dio verso i suoi figli e spesso le parole sono così toccanti da commuovere tutti coloro che ascoltano. Anche qui però dovremmo stare attenti a non esagerare con i “sentimentalismi” in quanto è semplice commuoversi momentaneamente di fronte a  testi del tipo “stringimi forte a te”, “abbracciami”, “cresce il mio amore per te” in quanto sono espressioni che ci permettono di attribuire al nostro rapporto di comunione col Signore sentimenti di affetto molto simili a quelli che si instaurano in una relazione tra un uomo e una donna, ma spesso si trascura di inserire nei testi dei cantici i nostri principi di fede come la necessità della grazia per la salvezza dell’anima, il primato di Gesù, la necessità di predicare l’Evangelo ad ogni creatura, ecc. Penso che i cantici  più belli e più edificanti siano quelli che traggono ispirazione dalla Parola di Dio, e del resto chi potrebbe suggerire testi migliori, per i nostri cantici, delle verità celesti descritte  da Dio nella Sua Parola?

Voglio concludere questa serie di articoli affermando che siamo chiamati a partecipare tutti con zelo alla lode del Signore, nessuno escluso. C’è chi è chiamato a farlo in maniera più evidente rispetto ad altri suonando, facendo parte di un coro o cantando da solista, ma il compito di lodare il Signore tramite la musica e il canto è rivolto ad ognuno di noi. C’è un passo, con cui voglio concludere,  che da musicista cristiano spesso mi torna in mente e si trova al verso 3 del Salmo 33: “Cantategli un cantico nuovo, sonate bene e con gioia” . Voglia Dio concederci la possibilità di cantare e suonare per Lui  “con maestria” e con gioia affinché questa misera argilla possa dare la gloria che  è dovuta al Suo Formatore. A Dio sia la gloria.